Tribunal
de Biella, Sentencia de 23 de mayo de 2005
I
- COMENTARIO
Son
varios los temas que podemos destacar en esta concreta e interesante
sentencia italiana.
En
primer lugar, la legitimación de los administradores para impugnar
las deliberaciones de la asamblea aún cuando sus acciones hayan sido
embargadas. Ello, en realidad, tiene que ver con otro tema muy
interesante: las facultades del director - accionista a quien le han
embargado las acciones. También se analiza la propia legitimación
de directores por sí y del órgano colegiado.
En
segundo lugar, se distingue entre los conceptos de abuso o exceso de
poder como accionista (el abuso del derecho a voto) frente al
conflicto de intereses entre accionista y sociedad anónima. En ambos
casos es mediante el voto que tiene lugar la manifestación de la
voluntad cuestionada. Sin embargo, destaca la sentencia que no
siempre que hay abuso de poder hay conflicto de intereses con la
sociedad. El abuso de poder se trata de un conflicto entre grupos o
posiciones (la de uno solo de los accionistas también) en el ámbito
interno de la sociedad. El conflicto de intereses hace referencia a
la calidad del accionista en oposición a otro núcleo de interés
ajeno, en el ámbito externo a la sociedad.
II
- TEXTO COMPLETO DE LA SENTENCIA
...
“SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con
atto di citazione ritualmente notificato F. G., F. N. e F. S. –
amministratori della M. s.p.a. (M.) e proprietari del 50% delle
relative azioni (sottoposte a sequestro giudiziario) - convenivano in
giudizio detta società, impugnando la delibera assembleare del
15.09.98, con la quale era stato approvato l’esercizio dell’azione
di responsabilità nei loro confronti, la revoca dall’incarico e la
nomina di altri amministratori in loro sostituzione, con l’astensione
dal voto del custode giudiziario delle azioni sequestrate. Allegavano
come unico motivo di impugnazione che la delibera era viziata da
abuso di potere di voto, perché l’altro socio (B. B. R.,
proprietario dell’altro 50% delle azioni M.), l’unico votante,
aveva utilizzato la deliberazione per soddisfare il suo personale
interesse ad assumere la gestione della società estromettendo gli
attori. A sostegno di tale tesi allegavano l’esistenza di un’aspra
conflittualità anche giudiziaria tra il socio votante e gli attori
in ordine all’effettivo trasferimento delle azioni di questi ultimi
al socio votante e l’esistenza di numerose iniziative intraprese da
quest’ultimo in seno alla società in danno gli attori
(contestazioni di addebiti e licenziamenti disciplinari, denunce ex
art. 2408 c.c.). Si riservavano di chiedere la sospensione della
delibera.
Alla
prima udienza di comparizione si costituiva in giudizio la convenuta,
eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione degli
attori, per avere proposto in qualità di amministratori doglianze
che non potevano proporre quali soci (essendo le loro azioni oggetto
di sequestro giudiziario) e che comunque l’impugnazione degli
amministratori poteva essere fatta solo in forma collegiale. Nel
merito evidenziava l’infondatezza dell’unico motivo di
impugnazione enunciato, in quanto: non vi era alcun interesse del
socio votante ad assumere la gestione della società, dato che già
era amministratore delegato e che comunque non era stata revocata
dall’incarico di amministratore la moglie di F. G.; non vi era
alcun interesse personale del socio votante a far cessare i rapporti
di amministrazione degli attori, tenuto conto che la convocazione
dell’assemblea era avvenuta su richiesta del collegio sindacale a
seguito dell’istruttoria espletata, sia pure dopo la denuncia del
socio votante; che non era neppure allegato un interesse personale
del socio votante in contrasto con quello della società, non
dovendosi confondere il conflitto tra soci con il conflitto tra soci
e società; che non era neppure allegato il pericolo di danno alla
società, derivante dall’adozione delle delibere impugnate; che
invece sussistevano gravissimi motivi che imponevano di interrompere
il rapporto di amministrazione, risultanti dagli addebiti
disciplinari e dall’istruttoria compiuta dal collegio sindacale,
avendo gli attori avviato iniziative per paralizzare l’attività
sociale e convogliare la clientela nella società che avevano
costituito in diretta concorrenza con la M.. Aggiungeva che la
mancata impugnazione della deliberazione del collegio sindacale, che
proponeva l’ordine del giorno poi approvato in assemblea, rendeva
non impugnabile la decisione assembleare. Si opponeva alla
sospensione della delibera impugnata, allegando che la domanda
principale non richiedeva l’annullamento ma solo la declaratoria di
annullabilità della delibera impugnata, sicché nessuna sospensione
era strumentale a tale richiesta; che comunque mancavano i
presupposti per la sospensione della delibera e che la relativa
richiesta doveva ritenersi finalizzata a dare maggiore vigore alla
concorrenza sleale avviata, sollevando così eccezione di dolo.
Con
comparsa depositata alla prima udienza di comparizione, interveniva
in giudizio B. B. R., aderendo alle conclusioni della convenuta e
proponendo tutte le istanze di quest’ultima.
Nella
memoria ex art. 183 c.p.c., datata 28.06.99, gli attori precisavano
le domande e le conclusioni.
Nella
memoria di replica ex art. 183 c.p.c., datata 27.07.99, la convenuta
eccepiva che nel precisare le conclusioni gli attori avevano
sostituto la domanda di declaratoria di annullabilità della delibera
impugnata con la domanda di annullamento della stessa. Ritenuto che
non si trattava di precisazione di domanda ma di nuova domanda, ne
eccepiva la tardività anche con riguardo ai termini di cui
all’art. 2377 c.c. Evidenziava che comunque doveva ritenersi
rinunciata la richiesta di declaratoria dell’annullabilità e che
vi era la carenza di interesse alla proposizione di siffatta domanda.
Nella
memoria di replica ex art. 183 c.p.c., datata 27.07.99, l’intervenuto
sollevava i medesimi rilievi ed eccezioni della convenuta.
Nella
prima memoria ex art. 184 c.p.c. datata 17.12.00, gli attori
replicavano alle eccezioni e deduzioni avversarie appena richiamate e
nella seconda memoria ex art. 184 c.p.c., datata 07.01.00, la
convenuta controdeduceva alle allegazioni avversarie ed eccepiva il
mancato deposito di azioni da parte degli attori ai fini della
procedibilità della domanda.
Statuito
sulle richieste istruttorie con ordinanza 04.05.00, si procedeva
all’interpello degli attori e all’escussione di numerosi testi.
Con ordinanza riservata 01.02.01, confermata con ordinanza
all’udienza 20.06.01, veniva dichiarata inammissibile, in mancanza
dei presupposti di cui all’art. 184 bis c.p.c., una richiesta di
produzione documentale della convenuta. Precisate le conclusioni come
in epigrafe, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione,
previa concessione dei termini di legge per il deposito delle
comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Occorre
preliminarmente rilevare che, contrariamente a quanto eccepito dalla
convenuta e dal terzo intervenuto, gli attori non risultano aver
proposto nuove domande, né risultano aver rinunciato ad alcuna delle
domande formulate in atto di citazione, ma hanno semplicemente
precisato nella memoria ex art. 183 c.p.c. le conclusioni già
formulate in atto di citazione.
A
fronte di una immutata rappresentazioni dei fatti costitutivi della
pretesa avanzata, nell’atto introduttivo gli attori hanno chiesto
di “accertare e dichiarare la nullità, l’annullabilità e,
comunque, la invalidità e/o inefficacia della delibera
dell’assemblea Ordinaria della M. s.p.a. assunta in data 15.09.98”,
mentre nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. hanno chiesto
“pronunziarsi la nullità, l’annullamento, la invalidità e/o la
inefficacia della delibera dell’assemblea Ordinaria della M. s.p.a.
assunta in data 15.09.98.”
In
altre parole, nelle conclusioni dell’atto di citazione si legge la
richiesta di declaratoria dell’annullabilità della delibera
impugnata, mentre nelle conclusioni precisate della prima memoria ex
art. 183 c.p.c. si legge la richiesta di annullamento della stessa
delibera.
Tuttavia
emerge senza alcun dubbio che si tratta di correzione di espressioni
usate in modo improprio, e non di proposizione di una nuova domanda,
in quanto dalla lettura dell’intero atto di citazione si evince con
chiarezza che gli attori hanno agito per ottenere l’annullamento
della delibera impugnata (v. p. 9 atto di citazione: …è interesse
degli esponenti che sia dichiarata l’invalidità e, quindi,
annullata la delibera 15.9.1998 dell’Assemblea Ordinaria della
società M. s.p.a. …).
Com’è
noto la domanda giudiziale deve essere interpretata, tenendo come
punto di riferimento la volontà della parte, risultante non solo
dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte in atto di
citazione ma anche dal tenore dell’intero atto che le contiene, e
considerando la sostanza della pretesa anche in base alla condotta
processuale e alle precisazioni e specificazioni intervenute in corso
di causa (così da ultimo Cass. 16.09.04 n. 18653).
E
nel caso di specie è evidente che l’interesse degli attori,
manifestato già in atto di citazione, è stato quello di ottenere la
caducazione della delibera impugnata e che la diversa terminologia
operata nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. rispetto all’atto
introduttivo non è espressione della proposizione di una nuova
azione ma di una mera precisazione terminologica, compiuta proprio
nella sede a ciò destinata (prima memoria ex art. 183 c.p.c.,
destinata alla precisazione di domande, eccezioni e conclusioni).
Non
vi è pertanto domanda nuova e tardiva e nessuna rinuncia ad alcuna
domanda proposta in atto di citazione.
Non
è fondata l’eccezione di difetto di legittimazione
all’impugnazione degli attori.
Si
consideri che la delibera assembleare impugnata ha approvato: 1)
l’esperimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori F. G., F. N. e F. S.; 2) la loro revoca; 3) la nomina
di nuovi amministratori.
Senza
dubbio deve ritenersi che gli attori, in quanto proprietari di
azioni, che, alla data della delibera, erano sottoposte a sequestro
giudiziario, non avevano la legittimazione ad impugnare detta
delibera.
È
infatti pacifico in dottrina e in giurisprudenza che nel caso di
sequestro giudiziario di azioni, la legittimazione a votare e ad
impugnare le delibere assembleari spetti unicamente al custode
nominato dal tribunale (v. tra le ultime Trib. Santa Maria Capua
Vetere 17.04.02; Trib. Milano 19.03.90).
Rientra
infatti nei compiti di custodia ed amministrazione l’esercizio dei
diritti sociali relativi alle azioni sequestrate (v. doc. 49 fasc.
conv.), tra cui è senza dubbio compreso anche il diritto di
impugnare le deliberazioni assembleari.
Peraltro
la migliore conferma di tale opinione proviene proprio dal
legislatore, che, nell’ambito della più generale riforma del
diritto societario (d.l.vo 6/03), ha previsto una specifica
disciplina per i vincoli sulle azioni, prevedendo espressamente nel
novellato art. 2352 c.c. che il diritto di voto in assemblea, e il
conseguente diritto di impugnazione delle deliberazioni assembleari,
in caso di sequestro di azioni, sono attribuiti al custode nominato
dal tribunale.
Tuttavia
gli attori all’epoca dell’adozione della delibera impugnata erano
anche amministratori della società convenuta, tant’è che nella
delibera è stata revocata la loro nomina ed è stato approvato
l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti.
E,
com’è noto, ai sensi dell’art. 2377 comma 2 c.c. (nella versione
previgente, applicabile alla fattispecie) “Le deliberazioni che non
sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo
possono essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci e dai soci
assenti o dissenzienti…omissis”.
La
convenuta e l’intervenuto nel costituirsi hanno interpretato la
disposizione appena richiamata nel senso che, nel caso in cui
l’amministrazione della società sia attribuita a un consiglio di
amministrazione, la legittimazione ad impugnare le delibere non
spetti al singolo amministratore ma al consiglio di amministrazione.
Inoltre in comparsa conclusionale la convenuta ha rilevato che, anche
a voler ritenere la legittimazione ad impugnare la delibera in capo a
ciascun amministratore, tuttavia tale legittimazione deve essere
esclusa nel caso di revoca della relativa nomina, non potendo
l’amministratore sindacare tale scelta, ma soltanto agire per il
risarcimento dei danni, quando essa sia priva di giusta causa (art.
2383 comma 3 c.c. sempre nella versione previgente).
Nonostante
la tardività di quest’ultimo rilievo, esso deve comunque essere
valutato nel merito, tenuto conto che in esso è prospettata una
questione inerente la legittimazione ad agire astrattamente
rilevabile d’ufficio.
L’eccezione
è tuttavia infondata.
Com’è
noto la giurisprudenza di legittimità e di merito ha reiteratamente
affermato che in via generale – quando le società sono rette da un
consiglio di amministrazione - la legittimazione ad impugnare le
delibere assembleari spetta al consiglio nella sua collegialità e
non ai singoli componenti, perché si tratta di un potere attribuito
a tutela degli interessi sociali, che dunque deve essere deliberato
dall'organo incaricato di detta tutela (il consiglio, appunto, e non
i singoli componenti di esso) (v. da ultimo Cass. 05.06.03 n. 8992;
02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562; 24.04.63 n. 1084).
La
medesima giurisprudenza ha tuttavia precisato che sussiste la
legittimazione all’impugnativa anche del singolo amministratore nel
caso in cui si tratti di tutelare interessi a lui personali connessi
all’incarico rivestito (Cass. 28.08.95 n. 9040; 02.08.77 n. 3422;
01.03.73 n. 562), come proprio avviene nel caso di revoca anticipata
del mandato (v.ancora Cass. 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562) o nel
caso di approvazione dell’azione di responsabilità nei suoi
confronti (Trib. Bologna 15.09.92 e 28.10.92).
In
altre parole, a fronte dell’equivoca espressione normativa, la
giurisprudenza non ha fatto altro che applicare i principi generali,
verificando l’interesse tutelato e la titolarità dello stesso,
giungendo a riconoscere la legittimazione del solo organo gestorio
collegiale quando si tratta di delibere impugnate nel solo interesse
della società e la legittimazione anche del singolo amministratore
quando si tratta di delibere impugnate nel suo interesse personale
sia pur connesso allo svolgimento dell’incarico affidato.
La
riformulazione dell’art. 2377 comma 2 c.c. nel testo ora vigente
non ha fornito elementi di novità, avendo mantenuto il semplice
richiamo agli amministratori, come soggetti legittimati
all’impugnazione, pur precisando la concorrente legittimazione del
collegio sindacale, e non dei singoli sindaci, e pur aggiungendo la
legittimazione del consiglio di sorveglianza, anche in questo caso
prevedendo la legittimazione dell’organo collegiale e non dei
singoli componenti.
Non
sussistono pertanto ragioni per modificare l’orientamento
interpretativo appena richiamato, sicché deve ritenersi esistente la
legittimazione di ciascun amministratore ad impugnare la delibera che
lo ha revocato anzitempo e che ha approvato l’azione di
responsabilità nei suoi confronti.
Né
può ritenersi che l’amministratore non può impugnare la delibera
con la quale sia stato revocato, perché in caso di revoca senza
giusta causa ha comunque diritto al risarcimento. Si deve infatti
considerare che egli ha diritto alla prosecuzione del mandato, fino
allo spirare del termine contrattuale, salva ovviamente la giusta
causa di revoca (Cass. 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562). Pertanto,
nel caso in cui la delibera sia viziata, in base ai principi appena
evidenziati, egli ha il potere di impugnarla e, se manca la giusta
causa di revoca, ha anche diritto al risarcimento del danno.
Essendo
l’impugnazione proposta dagli attori in quanto amministratori, non
si pone il problema della procedibilità della domanda per mancato
deposito delle azioni.
Non
è neppure fondata l’eccezione di intervenuta cessazione della
materia del contendere, sollevata dalla convenuta e dall’intervenuto
in sede di definitiva precisazione delle conclusioni, fondata sul
fatto che comunque gli attori non potrebbero usufruire degli effetti
ripristinatori dell’eventuale annullamento, per essere esaurito il
periodo di vigenza del consiglio di amministrazione, cui facevano
parte.
Si
deve in primo luogo rilevare che gli attori non hanno impugnato la
delibera assembleare solo per la parte che ha approvato la anticipata
revoca del loro mandato, ma anche per la parte in cui ha approvato
l’esperimento dell’azione di responsabilità, che non è in alcun
modo influenzata dall’intervenuto rinnovo del consiglio di
amministrazione.
Inoltre,
anche con riguardo alla revoca, deve ritenersi che gli attori hanno
senza dubbio manifestato il persistere del loro interesse alla
verifica giudiziale della dedotta invalidità della delibera,
contestando in modo inequivoco l’eccezione avversaria.
Come
ritenuto da una giurisprudenza oramai consolidata, la cessazione
della materia del contendere presuppone non solo che sopravvengano,
nel corso del giudizio, eventi di natura fattuale o atti volontari
delle parti idonei a determinare la totale eliminazione di ogni
posizione di contrasto, ma anche che vi sia accordo tra le parti
sulla portata delle vicende sopraggiunte e sull'essere venuto meno
ogni residuo motivo di contrasto e che vi sia la dichiarazione di non
voler proseguire la causa proveniente dalla parte personalmente (o
dal difensore munito di procura ad hoc) in origine interessata alla
statuizione sul merito della vertenza (v. da ultimo Cass. 08.11.03 n.
16785).
Non
è neppure fondata l’eccezione di improponibilità
dell’impugnazione in questa sede proposta, per non avere gli attori
impugnato la decisione del collegio sindacale che ha deciso di
convocare l’assemblea sul corrispondente ordine del giorno.
L’acquiescenza
alle decisioni dei sindaci di proporre alla valutazione
dell’assemblea l’ordine del giorno, poi approvato, non equivale
ad anticipata acquiescenza alle decisioni dell’assemblea stessa. È
infatti evidente che, nonostante l’iniziativa sindacale, gli
amministratori ben potevano avere interesse a difendersi davanti ai
soci, al fine di ottenere una pronuncia assembleare che li
scagionasse dalle accuse loro mosse.
Passando
al merito della vertenza, occorre fare alcune precisazioni.
Gli
attori, nel proporre impugnazione, hanno allegato che la delibera “…è
viziata da abuso del potere di voto in quanto l’espressione di voto
da parte del socio B. B. R. appare, alla evidenza, sorretta
dall’interesse particolare dello stesso di far cessare
immediatamente gli amministratori F. G., F. N., F. S. dalle
rispettive cariche, per assumere la gestione della società…” (p.
10 atto di citazione). Hanno poi richiamato precedenti
giurisprudenziali relativi a delibere ritenute viziate da conflitto
di interessi (p. 10 e s. attori citazione) ed infine hanno elencato
alcuni fatti, qualificati come indici di antisocialità
dell’interesse del socio votante, ma che in realtà si presentano
come indici del conflitto esistente tra soci (p. 11 e s. atto di
citazione).
Com’è
noto l’abuso o eccesso di potere è una figura di derivazione dal
diritto amministrativo, ravvisabile nell’ambito societario quando
la delibera risulta arbitraria e fraudolentemente preordinata al
perseguimento degli interessi del gruppo che l’ha adottata, oppure
al perseguimento di fini volutamente lesivi degli interessi del
gruppo che non l’ha votata, e sia priva di una propria autonoma
giustificazione causale sulla base dei legittimi interessi sociali
(così Cass. 19.04.03 n. 6321; 05.05.95 n. 4923; v. anche Cass.
26.10.95 n. 11151; tra la giurisprudenza di merito edita, v. Trib.
Roma 22.10.02; Trib. Milano 11.01.02 e 22.06.01; Trib. Palermo
18.05.01; Trib. Como 01.06.00; Trib. Milano 13.05.99; Appello Roma,
21.04.98; Trib. Napoli 25.02.98; Trib. Milano 29.01.98, 20.01.98 e
09.06.94; Trib. Bologna 20.12.93; Trib. Milano 18.05.92).
A
fondamento del riconoscimento di tale vizio, la dottrina e la
giurisprudenza a volte hanno richiamato il disposto dell’art. 1375
c.c., inserendo i rapporti societari nel generale ambito dei rapporti
contrattuali, e altre volte hanno estrapolato dal sistema delle norme
societarie una regola generale di correttezza (cfr. Cass. 26.10.95 n.
11151).
Il
vizio della delibera per abuso o eccesso del potere di voto dei soci
votanti a favore si distingue nettamente dal vizio per adozione della
delibera con il voto favorevole del socio in conflitto di interessi,
perché non vi è un conflitto tra socio e società, ma un conflitto
tra gruppi all’interno della società (e cioè un conflitto tra
soci), e la delibera è utilizzata in modo fraudolento esclusivamente
per raggiungere risultati a favore del gruppo votante.
In
altre parole, la delibera viziata da abuso o eccesso di potere non
persegue i suoi fini istituzionali, ma diventa lo strumento
fraudolento con il quale il gruppo (o il socio) che l’ha approvata
acquista vantaggi per sé o reca danni al gruppo (o al socio) che non
l’ha votata. Questo basta ad integrare il dedotto vizio e, a
differenza del caso in cui vi sia conflitto di interessi, non è
richiesta la prova del pericolo di pregiudizio per la società.
Ovviamente
spetta alla parte che allega l’esistenza del vizio provarne
l’effettiva sussistenza (Cass. 19.04.03 n. 6321; 05.05.95 n. 4923).
Tenuto
conto di quanto appena evidenziato, deve subito rilevarsi che il
richiamo, compiuto in atto di citazione, ai precedenti giudiziari
relativi a casi di conflitto di interessi (v. supra), non si adatta
alla presente fattispecie, tenuto conto che gli stessi attori hanno
correttamente qualificato la fattispecie in termini di abuso del
potere di voto, allegando infatti eventi che rappresentano un
conflitto tra soci (e non tra socio e società), senza dedurre alcun
pericolo di danno conseguente all’adozione della delibera (ma
soltanto l’uso strumentale della delibera per conseguire il
controllo della gestione della società mediante estromissione degli
attori).
La
domanda è tuttavia infondata.
In
primo luogo non risulta che la revoca degli attori sia stata davvero
finalizzata al conseguimento da parte del socio votante
dell’esclusiva gestione della società mediante estromissione degli
attori.
Risultano
invece nominati altri amministratori in sostituzione degli attori e
non vi è né allegazione né prova di alcun particolare rapporto tra
il socio votante, già amministratore delegato della società, e gli
altri componenti del consiglio di amministrazione.
Inoltre,
la delibera risulta essere stata adottata previa convocazione
dell’assemblea da parte del collegio sindacale, che – a seguito
della denuncia del socio B. B. R. – e, valutati gli elementi
acquisiti, ha sottoposto ai soci l’opportunità di revocare
dall’incarico di amministratori gli attori e di esperire l’azione
di responsabilità nei loro confronti.
E
già la documentazione e le dichiarazioni acquisite dal collegio
sindacale evidenziano l’esistenza di elementi che giustificano
l’adozione nei confronti di ciascuno degli attori – e
nell’interesse della società - della delibera in questa sede
impugnata (cfr. doc. 27, 18-25 e 86 fasc. conv.).
Inoltre,
anche valutando solo i comportamenti che sono stati sottoposti
all’esame dell’assemblea deliberante, l’istruttoria orale ha
confermato la validità delle informazioni acquisite dal collegio
sindacale. È infatti risultato confermato che effettivamente F. G.
ha mosso frequenti rimproveri ai dipendenti M. per aver richiesto
l’acquisto di materiale (v. dich. A. B. B., .A. G. P., L. C., E.
L.) necessario per continuare la produzione (v. dich. A. G. P., L.
C.) e che di fatto ha sospeso la lavorazione di alcune macchine,
provocando ritardi nelle consegne (v. dich. S. B. B., L. C.).
Ed
è altresì confermato che effettivamente F. N. insieme ad un’altra
persona ha sottratto alla società un disco Zip contenente
informazioni sul macchinario lavorato dalla M. (v. dich. B. B. A., G.
M. C.; le dichiarazioni del teste P. sono davvero poco attendibili
sul punto, tenuto conto che – ove avesse ammesso di aver
partecipato alla sottrazione – avrebbe confessato di aver
partecipato ad un illecito), che è stato riconosciuto tra il
materiale oggetto di sequestro penale presso un’altra società in
concorrenza (v. dich. Andrea
B. B.).
Infine,
gli attori F. S. e F. N. in questa sede non hanno neppure
concretamente contestato i rilievi loro mossi, relativi al fatto di
aver fotocopiato e portato all’esterno dell’azienda documenti
riservati, pur risultanti dall’istruttoria acquisita dal collegio
sindacale (v. doc. 11 e 12 fasc. att. e doc. 18 fasc. conv.).
Non
risulta pertanto provata la dedotta finalità del socio votante di
conseguire con l’adozione della delibera impugnata l’esclusivo
controllo della gestione societaria mediante sottrazione
dell’amministrazione agli attori.
Inoltre
vi sono seri elementi che inducono a ritenere l’esistenza di un
interesse della società a rimuovere gli attori dalla gestione e a
tutelarsi con un’azione di responsabilità nei loro confronti.
La
domanda deve pertanto essere rigettata.
Le
spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza
con riguardo ai rapporti tra la convenuta e gli attori e pertanto
gravano su questi ultimi.
Sussistono
invece giusti motivi per compensare le spese processuali tra gli
attori e l’intervenuto, tenuto conto della spontaneità
dell’intervento meramente adesivo e della sostanziale identità di
allegazioni e deduzioni rispetto a quelle della convenuta.
P.
Q. M.
Il
Tribunale di Biella, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione
disattesa, definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n.
534/98 RG:
1)rigetta
le domande degli attori;
2)rigetta
ogni altra domanda;
3)dichiara
tenuti e condanna gli attori in solido tra loro al pagamento delle
spese processuali sostenute dalla convenuta, che liquida in
complessivi euro 6921,77 (di cui euro 2571,34 per diritti, euro
3.500,00 per onorari e il resto per spese), oltre Iva e Cpa come per
legge;
4)compensa
integralmente tra gli attori e l’intervenuto le spese di causa.”...
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